QUANDO LE STELLE SCESERO A TERRA
- Mattia Cochetti
- 15 mag 2024
- Tempo di lettura: 7 min

Credevo di averle viste tutte… E invece...
Dopo migliaia di partite da bordo campo, la più bella l'ho vista solo io e pochi altri e nessuno mi può togliere dalla testa l'idea che non ce ne sarà più un'altra uguale.
- Dai Mike, non te ne andare proprio adesso! - mi dice Magic col suo sorriso da presa per i fondelli.
Quando Magic sorride così, non sai mai cosa aspettarti.
- Ragazzi, giochiamo? – dice ancora Magic agli altri.
Gli altri.
Tredici ragazzi, quasi tutti neri come il carbone, e qualche bianco che è nato col basket nel pannolino. Tutti quei magnifici ragazzi erano nati per giocare a basket.
- L'allenamento è finito, ragazzi - dice coach Chuck Daly, uno che non è che fosse l'ultimo arrivato, visto che aveva vinto l'ultimo titolo NBA con Detroit.
- Dai, coach. Una partitella - è Michael Jordan che interviene a perorare la causa di Magic.
Daly, fa un gesto con una mano come per scacciare una mosca e va sedersi su una delle sedie in prima fila, dietro il canestro più vicino agli spogliatoi.
Del resto, non è che poteva farci molto con quei giocatori.
Il suo motto e il suo obiettivo per tutto il torneo Olimpico sarebbe stato: non chiamare neanche un time out e una volta, al terzo allenamento, quasi ridendo, disse: - Ma cosa devo insegnare io, a voialtri!
Sì, ragazzi. I "Voialtri" erano il Dream Team, la più forte squadra di Basket che la pallacanestro mondiale sia riuscita a portare su di un parquet.
Come dicevo, non ce ne sarà mai più un'altra.
Il Dream Team: un'idea pazza venuta fuori da David Stern, il "proprietario" della NBA.
Negli USA erano tutti stufi di portare alle Olimpiadi ragazzotti delle università. Nelle ultime due Olimpiadi le avevano prese in finale dall'URSS e più di qualcuno aveva storto il naso.
Ma come: abbiamo i migliori giocatori del pianeta, ma non possiamo farli giocare perché sono professionisti?
D'altronde, fino a quel momento, in qualunque disciplina sportiva, potevano partecipare solo atleti non professionisti.
Chissà come si aprì un varco che divenne un portone nelle edizioni successive. Ma quella volta, quella volta, ve lo dico io: niente sarebbe più stato come quella volta.
- A me fa male la schiena, ragazzi - dice Larry Bird, dei Boston Celtics. - Vi guardo da qui.
È venuto a sedersi di fianco a me, mi ha messo una mano sulla spalla e si è piazzato in mezzo alla faccia un mezzo sorriso dei suoi, che la diceva lunga sulle sue intenzioni.
- Guarda che non sono mica la tua fidanzata - gli dico a modo mio.
- Mike, non potresti essere la mia fidanzata solo perché hai i baffi! - e mi stampa un bacio sulla guancia.
Gli altri dodici imbecilli in mutande si sono messi a ridere tutti insieme e io ho tirato una gomitata ben assestata alle costole di Larry, che ha fatto una scena come colpito da una coltellata.
Ah, non mi sono presentato.
Io sono Mike Preston, adesso ho 80 anni, ma all'epoca erano solo una quarantina di primavere ed ero abbastanza alto, abbastanza da pensare di giocare insieme a quelli là. Solo pensarlo, naturalmente.
Invece avevo il privilegio di dovermi preoccupare delle loro borracce di acqua, degli asciugamani, che i palloni fossero gonfi, che non lasciassero in giro le giacche quando l'allenamento era finito e un'altra infinità di cose che un magazziniere deve fare per star dietro ad una squadra di Basket.
Ma come mi divertii in quel periodo in Europa!
Barcellona 1992. Giochi olimpici.
La Federazione Americana di Basket era stata costretta ad affittare un hotel tutto per noi perché per ragioni di sicurezza non potevamo abitare nel Villaggio Olimpico.
- Ehi, Coach: ma così non potremo conoscere le ragazze - Scotty Pippen, 6 titoli NBA e 7 volte al ALL STARS GAME, aveva un'idea un po' distorta della partecipazione all'Olimpiade.
Ma d'altronde, come dargli torto. Non erano mica venuti per vincerla. No, erano venuti per chiudere tutte le parti con almeno 45 punti di distacco. Ci riuscirono quasi sempre.
- Sì, coach Daly. Quando ci ricapita di vedere da vicino tutte quelle atlete, tutte insieme! - Patrick Ewing, più di 24.000 punti, sì, avete capito bene, due, quattro e tre zeri, 11 ALL STARS GAME. Anche lui era lì anche per godersi il momento.
Niente da fare. Hotel a cinque stelle naturalmente, famiglie al seguito e tutti blindati dentro.
Ho visto scene durante quelle partite che non ci potevo credere.
Contro gli argentini, nel girone qualificazione, ad un certo punto il loro play si è fermato al centro esatto del campo.
Palla in mano.
A guardato Michael Jordan e poi si è girato verso la tribuna. È partita una raffica di flash.
- Ehi, Michael - gli ho urlato dal nostro posto a bordo campo - chiedigli cosa sta facendo, perché da qui non lo abbiamo mica capito.
E Michael gliel'ha chiesto, lì in mezzo, con Magic e gli altri che li guardavano come si guarda un marziano che si sta mangiando un gelato seduto sul barbecue del tuo giardino.
L'argentino ha sorriso come un bambino la mattina di Natale, quando scopre un vecchio vestito di rosso e con la barba bianca, appisolato sul divano. Poi ha detto: - Ho un amico, là - e gli ha indicato un giornalista con una macchina fotografica enorme che stava scattando a ripetizione e abbagliando tutti con il flash. - Gli ho pagato una foto con te, qui adesso. E questo era il momento!
Avete capito? Erano tutti pazzi per quei ragazzi. Mica solo i tifosi.
Ma torniamo a quella partita.
Lì siamo a Montecarlo. Stiamo finendo la rifinitura pre-olimpica.
Insomma, una specie di gioco di società in cui tutti questi mammasantissima avevano il compito di conoscersi meglio e coah Daly di capire come fare meno danni possibili.
- Facciamo Est contro Ovest! - urla Christian Laettner, bianco, "solo" 11.000 punti in carriera.
- Cosa ne sai tu di Est contro Ovest! Hai fatto solo un ALL STARS GAME - questo è Carl Malone, 2,06 MT. 14 ALL STARS GAME E 36.000 punti nei vari campionati NBA.
Ma Cristian Laettner è uno che non molla.
È qui perché è ancora universitario, e solamente perché la Federazione Americana ha voluto salvare le apparenze e portare almeno un "dilettante”. Poi lui diventerà professionista e farà una buona carriera, ma non c'entrava niente con quelli lì. Per portare lui, avevano dovuto lasciare a casa un giovane di belle speranze che rispondeva al nome di O'Neal, Schaquille, per la precisione.
Quando era salito per la prima volta sul pullman, Laettner era talmente intimidito dagli altri che Charles Barckley aveva dovuto sedersi di fianco a lui e coccolarselo un po'. Avete presente Charles: non vorrei mai trovarmelo davanti in un vicolo buio. Barckley, 11 ALL STARS GAME. Cattivo come uno orso arrabbiato che ha messo una zampa in una tagliola, si siede lì, di fianco a Christian e gli dice che deve stare tranquillo.
- Se te la fai addosso in campo, c'è Mike... - e mi aveva indicato - ...che pulirà quello che lasci sul parquet!
Risate di gruppo e anche Christian si scioglie un po'.
Adesso è Laettner a battere la gran cassa della partita delle partite.
- Dai, ragazzi, avete mica paura - dice ridendo Patrick Ewing, centro di 2,13, 11 ALL STARS GAME all'attivo. Li indica col dito, entrando in campo.
- Io vado - dice Magic, col solito sorriso da schiaffi.
Voleva ritirarsi l'anno prima, ma ha tenuto botta per un'altra stagione per andare alle Olimpiadi.
- Sono qui! - Scottie Pippen salta in campo, battendo forte i piedi e picchiandosi sul cuore il pugno.
6 anelli NBA in bacheca, ma è lì come un bambino.
Ad uno, ad uno, scendono in campo
Per l'Est si mettono la casacca d'allenamento blu: Jordan, Pippen, Ewing, Chris Mullin, e Laettner.
Quando Bird si accorge che Laettner si è schierato in campo esclama: - E no, bello! Se giochi tu gioco anch'io, anche senza spina dorsale.
Larry Bird aveva una grave situazione alla colonna vertebrale che lo costringeva ad andare in giro con un busto di resina. Ormai era agli sgoccioli di carriera.
Ma per quella partita...
Nella squadra Ovest c'erano: Magic, Clyde Drexler, uno dei pochi bianchi in squadra, 1 titolo NBA e 22.000 punti, Karl Malone e David Robinson, 2 titoli NBA. E naturalmente Charles Barckley, che per non smentirsi commette subito il primo fallo su Laettner. Dandogli un buffetto sul coppino.
Ma poi iniziano a giocare sul serio.
Arbitra Pat Lewis, il secondo di Coach Daly.
L'Est parte forte e va sopra di 2 con una schiacciata di Magic, manco a dirlo.
Poi ancora Malone piazza un tiro da tre.
5 a 0.
- Ehi, Coach: se adesso chiamo un time out per l'Est non lo diciamo a nessuno! - scherza Magic
Coach Daly non fa una piega. Niente time out.
L'unico che rischierà di chiamare sarà durante la finale contro la Croazia. Successe a metà del primo tempo. I croati di Petrovic erano in vantaggio 25-23. Alla fine gli USA si misero la medaglia al collo con il risultato di 117 a 85 e non ci fu bisogno di nessun time out.
Sotto 5-0, l'Ovest reagisce.
Jordan piazza un tiro da tre e due canestri da sotto con assist di Pippen, che poi gigioneggia in faccia a Barckley che lo indica col dito.
7-5 per l'Ovest e poi altro numero di Jordan. Larry Bird entra per 1', prende la palla da fermo un paio di metri oltre la metà campo e fa partire una parabola perfetta che s'infila quasi senza toccare la retina.
- Ehi, Mike - mi fa - Preparati a pulire i resti dell'Ovest.
Vanno avanti così fino al 14 pari.
Coach Daly si alza e fischia la fine.
Ma non è la fine.
- Ancora 5 minuti coach! - urla Robinson.
Hanno quasi tutti trent'anni, un numero di titoli NBA da far cadere qualsiasi mensola di museo del basket, ma vogliono giocare ancora!
E vada per i 5 minuti. Tanto non è che qualcuno li riesce a fermare.
Dopo 30 secondi esatti, Magic esplode contestando un fallo a suo carico, manco fosse in partita.
Quando si dà una calmata, si ricorda che l'arbitro non è un arbitro e chiede scusa. Non succede tutti i giorni.
Ah... Anche gli arbitri hanno subito il fascino del DREAM TEAM.
Nella seconda partita di qualificazione, nei gironi, un arbitro si è fermato vicino a Larry Bird, che se ne stava stravaccato a bordo campo perché gli faceva male la schiena a star seduto, e lo ha implorato di entrare almeno un minuto per poter dire di aver arbitrato una sua partita.
Roba da matti e da morire dal ridere!
Dopo 5' minuti in cui segnano con un ritmo forsennato e in ogni modo, coach Daly decide che può bastare. Entra in campo, sequestra il pallone e se ne va.
- Non vorrei che vi faceste male.
Finisce lì, con i ragazzi sudati fradici e col fiatone che scuotono la testa come bambini che la mamma ha richiamato a casa dopo una giornata passata al campetto.
Il risultato non me lo ricordo, ma mi ricordo come se fosse oggi la faccia entusiasta e le parole stupefatte di Michael Jordan: - È stata la più bella partita che ho giocato!
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