Scivolare Senza Cadere
- Mattia Cochetti
- 18 giu 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 20 giu 2024
‘Curva a destra e sono su. Sembrava una collinetta, ma mi sono quasi ammazzata per arrivare qui’ pensa.
Letizia Borghesi ha 21 anni e un nastro di asfalto sotto le ruote della bici la sta portando verso il traguardo, pochi chilometri più in là.
E’ l’8 luglio 2019 e Letizia si sta giocando la 5^ tappa del Giro d’Italia femminile.
La discesa è vertiginosa. Letizia guarda il contachilometri e legge: 60 km all’ora. La moto della TV fa fatica a starle dietro.
‘Ce la faccio! Ce la faccio!’ pensa ancora.
Stacca le compagne con le quali è stata in fuga per buona parte del percorso. Sono due italiane, Nadia Quagliotto e Chiara Perini.
‘Male che vada oggi vince un’italiana!’ si dice ancora.
E’ da due anni che una ciclista italiana non vince una tappa.
‘Curva a sinistra, curva a destra’ dice a sé stessa.
“Attenta al muretto a destra!” le grida il suo direttore sportivo sull’auto ammiraglia che la segue poco dietro.
Letizia è concentrata, abbassata sul manubrio in posizione aerodinamica, più di così non può fare e sfreccia fino al tratto di pianura che inizia a 4 chilometri dal traguardo.
Tutto dritto adesso.
‘Ce la faccio’ si ripete come un ritornello ma, mentre lo dice, le due avversarie la raggiungono e la superano.
Letizia sembra pagare lo sforzo e la delusione, ma è solo un momento.
‘Non posso buttare tutto all’aria’ e si alza, spingendo di nuovo sui pedali.
Alla sua sinistra scorre il cartello dei – 2 km al traguardo. Dietro tutte e tre sanno che c’è il mostro: Marianne Vos, fortissima.
Letizia è in un bagno di sudore, l’aria stravolta. Beve l’ultima riserva di acqua dalla borraccia e la lancia di lato, poi supera le sue due compagne d’avventura e fa cenno che devono collaborare.
Collaborare significa che a ognuna toccherà tirare le altre due, pedalando in testa per pochi metri e fendendo l’aria come farebbe una locomotiva.
E trovano l’accordo.
Al cartello dei -1 km sanno tutte e tre che ce l’hanno fatta. Sanno che se la giocano loro, la tappa.
Perini prova a dare un’accelerata, ma è Nadia Quagliotto ad avvantaggiarsi e a staccare leggermente Letizia.
Mancano meno di cinquecento metri. Chiara Perini non ce la fa e si sfila.
“Dai! Dai!” urla il direttore sportivo negli auricolari.
“Sono sotto! Sono a tutta!” urla di rimando Letizia, come se ruggisse.
Non guarda il contachilometri ma sa che sta andando fortissimo, come non è mai andata in vita sua.
A duecento metri dal traguardo sembrano rallentare tutte e due. Nadia si mette dietro alla ruota di Letizia e aspetta come il gatto con il topo. Chiara è più indietro, distante e non può farci niente.
Poi Nadia parte, scarta la bici di Letizia di botto e si lancia verso il traguardo.
Mancano 50 metri.
E Letizia non ci sta.
Si alza sui pedali e imprime una forza mostruosa con le sue gambe magre e abbronzate dal sole del Giro d’Italia. Fa una danza, spostando il manubrio a destra e a sinistra in modo forsennato.
“La spacco, questa bicicletta!” urla con tutto il fiato che ha in gola, mentre con la coda dell’occhio vede Nadia Quagliotto, di fianco a lei, alzare un braccio.
Ma quest’ultima ha commesso un imperdonabile errore: ha dato per certa la vittoria prima che l’ultimo centimetro di asfalto sia stato percorso.
Può succedere.
Letizia, lotta, urla, spinge, non ci sta. Il tempo scorre ad una velocità pazzesca. Vede la linea bianca del traguardo scorrere sotto di lei. Con un ultimo grido ed un colpo di reni mette la ruota della sua bici da corsa davanti a quella di Nadia per un nulla.
Ma è un nulla che basta.
Letizia ha vinto e Nadia è costretta ad abbassare le braccia sconsolata.
“Non mollo mai!” urla al suo massaggiatore, che quasi la deve placcare per fermarla cento metri dopo il traguardo.
È vero. Letizia non molla mai.
È passato un anno e mi sono ritrovata nella sala d’attesa del pronto soccorso dell’ospedale di Trento.
Ero terrorizzata: non ci vedevo più.
E ho avuto paura.
La notte prima mi era salita una febbre strana, poi è passata, ma mi sono accorta che non ci vedevo più bene. Avevo delle strane macchie che mi sfuocavano la vista.
Mi hanno chiamato per fare il test del Covid e io mi sono sentita male. Infermieri e dottori sembrano marziani, nei camici azzurri con le mascherine e le visiere che coprono tutto il viso.
Poi un paio d’occhi mi sorridono. Leggono il mio nome sulla cartella medica.
“Sei Letizia Borghesi? Quella che ha vinto la tappa del Giro? Vedrai che andrà tutto bene! Ci siamo qui noi” e con un gesto della mano indica il locale nel quale mi hanno fatto aspettare, separata da qualunque altro paziente per evitare che ci infettassimo a vicenda.
La mia situazione è buona, quindi mi hanno rimandata a casa subito.
Il giorno dopo mi dicono che non ho preso il virus, per lo meno non il Coronavirus, ma un suo cugino.
Infatti, continuo a non vederci.
Fino a pochi giorni prima mi allenavo sui rulli, a casa, normalmente, studiavo, facevo quello che ho sempre fatto. Poi, improvvisamente, non ci riesco più perché una patina biancastra mi vela la vista. Vedo solo ombre.
Faccio molte visite oculistiche nei giorni successivi e scoprono che ho l’APMPPE, una malattia rara degli occhi, un virus che colpisce poche persone e che provoca macchie sulla retina.
Smetto di mangiare, mi butto giù, mille domande mi affollano la mente ed è durissima, per me e per tutti.
Poi, una mattina, circa un mese fa, butto i piedi giù dal letto, a tentoni raggiungo la bici, ferma sui rulli, ferma come me. Sembra aspettarmi e chiedermi: “Allora? Cosa facciamo? Molliamo?”.
La mia bici parla e mi dà la scossa. Mi viene in mente la tappa vinta al Giro. Lo strappo finale sul traguardo e l’urlo. E allora grido, grido talmente forte che mia mamma e mio papà si precipitano nella mia stanza. E mi trovano in sella.
Quando mi giro verso di loro vedo solo due sagome offuscate, come se la nebbia fosse entrata nella mia cameretta. Ma sono di nuovo determinata.
“Io non mollo niente!” dico più calma, con la determinazione e la grinta delle gare più dure.
E mi riprendo. Piano piano le cure iniziano a funzionare, mia madre mi legge i libri di testo e gli appunti in modo che possa continuare a studiare.
E pedalo sulla bici inchiodata sui rulli. Tanto, per il momento non potrei uscire a pedalare comunque. Dobbiamo stare tutti a casa.
Adesso sono passate alcune settimane, si può di nuovo uscire e la mia vista è migliorata.
Ho staccato la bicicletta dai rulli e l’ho rimessa sulla strada. Vado piano, ho ancora paura, vedo ancora delle macchie che i dottori dicono che si riassorbiranno.
Ma vado. Sono di nuovo al posto di combattimento.
Lo sport insegna a combattere e a tenere duro anche nella vita di tutti i giorni.
E a settembre voglio essere al via del Giro d’Italia.
Io non mollo niente!
Letizia ce l’ha fatta. Oggi è un’atleta di punta della Squadra EF EDUCATION
Comments